Fashion
Il mondo di Irene Brin
Mostra all'Accademia di Costume e Moda - Roma
26 Gennaio - 14 Febbraio 2014
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 L’Accademia Costume e Moda di Roma ospita, dal 26 gennaio al 21 febbraio, la mostra documentaria “Il mondo di Irene Brin”, curata da Claudia Palma, Direttore dell’Archivio bioiconografico e Fondi storici della Galleria nazionale d’arte moderna.
L’esposizione, organizzata in occasione della Settimana dell’Alta Moda di Roma, vuole ricordare la scrittrice, giornalista di costume, promotrice del Made in Italy nel mondo, a cui Rosana Pistolese, fondatrice dell’Accademia, ha dedicato un premio nel 1969, giunto oggi alla quarantacinquesima edizione.
La mostra “Il Mondo di Irene Brin” ripercorre la vita, il lavoro e gli interessi di Irene attraverso fotografie, documenti, opere d’arte, vestiti e accessori provenienti dai fondi archivistici della Galleria nazionale d’arte moderna e dall’Associazione Irene Brin di Sasso di Bordighera.

Figura poliedrica e dalle mille sfaccettature, scrittrice, gallerista insieme al marito Gaspero del Corso, è stata anche Rome editor per la rivista americana Harper’s Bazaar. Attenta ai cambiamenti dell’Italia post bellica, ha raccontato nei suoi numerosissimi articoli i mutamenti di costume di un paese “affascinato” dal modello americano.
Sono esposte fotografie che ritraggono Irene e i familiari, alcune di autori quali Avedon e Leslie Gill; fotografie dei vernissage, in cui gli artisti posano accanto alle proprie opere negli spazi espositivi della Galleria L’Obelisco, fondata da Irene e Gaspero del Corso nel 1946, prima galleria ad aprire a Roma nel secondo dopoguerra e promotrice del Surrealismo, dell’Informale, dell’Op e di artisti internazionali quali Calder e Rauschenberg. In mostra tra l’altro un piatto di Pablo Picasso, già presentato nel 1970 a L’Obelisco nella collettiva “Primitivi e no”.

Una parte del materiale fotografico e documentario sarà dedicato al rapporto di Irene con la Moda. Diverse fotografie, ritraggono attrici americane e italiane che indossano vestiti e accessori prodotti dalle case di moda italiane, di cui la Brin fu sostenitrice all’estero: Fontana, Carosa, Simonetta, Gattinoni, Fabiani, Capucci, Lancetti. Con questa mostra si vuole sottolineare la capacità di Irene di far dialogare il proprio interesse per l’arte con la moda e viceversa: sono presenti le illustrazioni di Brunetta Mateldi, le immagini di moda il cui set è la stessa Galleria L’Obelisco, la dama optical di Filippo Panseca accanto alla fotografia di un cappotto bianco e nero di Capucci.

Oltre al vestito Fabiani di Irene Brin, è esposto quello realizzato su disegno di Giacomo Balla, artista prediletto dai coniugi del Corso, presentato già durante la serie di mostre che L’Obelisco gli dedicò nell’intero anno 1968.
Un’altra passione coltivata da Irene insieme al marito Gaspero era il viaggio, testimoniata in mostra dalle numerose fotografie scattate in Europa, Stati Uniti, Sud-est asiatico e America Latina.
Prostitute di Bombay, danzatrici thailandesi, musicisti di Bali e uomini afroamericani sono i protagonisti degli scatti, un prezioso reportage ambientale, che denota una ricerca estetica unita a una particolare vena narrativa.
Il percorso si conclude con la proiezione di due video: il primo, realizzato dalla giornalista-scrittrice Flavia Piccinni, narra la vita di Irene attraverso interviste a persone che l’hanno conosciuta; il secondo è il racconto della realizzazione dell’opera dell’artista Maria Dompè, concepita per il giardino della casa di Irene a Sasso di Bordighera.

In mostra, il giorno dell’inaugurazione, anche gli otto “Fiori” di Giacomo Balla, eseguiti su disegno dell’artista nel 1968 per la mostra “Giacomo Balla: ricostruzione futurista dell’universo”, tenutasi presso la Galleria L’Obelisco, e il ritratto di Irene Brin di Massimo Campigli, il quale sosteneva «Irene è così campigliesca che tutto diventa troppo facile, devo spiegare la sua tristezza».

> Biografia di Irene Brin

Irene Brin è stata una donna all’avanguardia, una scrittrice mitteleuropea, una giornalista innovativa troppo presto dimenticata.

Nasce Maria Vittoria Rossi a Roma il 14 luglio del 1911 da Maria Pia Luzzatto, un’intellettuale, giovane, vulnerabile, di origine straniera e agiatamente borghese e da Vincenzo Rossi, generale, di età matura, di principi inflessibili, di origine ligure e contadina.
Certamente la vita errabonda della famiglia sempre al seguito delle diverse assegnazioni di lavoro del capofamiglia, le origini straniere della madre, nata a Vienna da famiglia ebrea, la rendono cittadina del mondo e capace di frequentare ogni ambiente con egual stile.
La sua formazione sarà di tipo assai particolare: la madre infatti, d’accordo con il marito, la ritirerà dalla scuola molto giovane, all’età di quindici anni, al termine del ginnasio. Sarà lei, da quel momento, la sua insegnante ed il suo riferimento, non solamente scolastico.
La giovane Mariù, come è affettuosamente chiamata da tutti i suoi familiari, cresce leggendo un libro al giorno in diverse lingue tanto da conoscerne in breve cinque in modo talmente approfondito da diventare, negli anni seguenti, traduttrice di inglese, francese, tedesco, spagnolo. La passione per la scrittura si mostra prestissimo.
Quando comincia a scrivere nel 1932 nella redazione del “Lavoro” si specializza in un tipo di articoli più tardi chiamati “di costume”, ma che a quel tempo vengono sprezzantemente definiti  “cani schiacciati”.
Avrà bravissimi maestri come Mario Melloni e Giovanni Ansaldo, ma il migliore fu senza dubbio Leo Longanesi che le aveva trovato lo pseudonimo di Irene Brin, un nome corto, brillante, pungente, come la sua scrittura.Il 3 aprile del 1937 sposa il tenente Gaspero del Corso.
Mentre Irene pubblica articoli su più giornali che riguardano diversi argomenti nasce l’esigenza di proporsi con vari pseudonimi utilizzati per caratterizzare i diversi contenuti e le svariate testate, sarà quindi Marlene, Oriane, Adelina, Ortensia, Contessa Clara Radjanny von Schewitch. Le sue prime tracce letterarie sono del 1937 in un piccolo racconto di una settantina di cartelle, non ancora pubblicato, e poi ancora “Olga a Belgrado” scritto nel 1941 dedicato alle esperienze della guerra iugoslava condivisa con Gaspero.

Sono anni duri e la giornalista, non riuscendo a trovare troppo spazio sui quotidiani per le sue cronache, si dedica, alle traduzioni e alla stesura della biografia della Bella Otero. E’ del 1944 “Usi e costumi”. L’anno successivo pubblica “Le visite”, undici piccoli racconti di donne. In questi anni Irene si ritrova nuovamente a Roma, nella casa di Palazzo Torlonia, con il marito Gaspero nascosto dopo l’armistizio insieme ad una trentina di suoi colleghi sistemati nella soffitta in analoghe condizioni e con l’esigenza di lavorare per il mantenimento di questa così impegnativa “famiglia”. Accetta quindi di impiegarsi in un piccolo negozio di amici, “La Margherita” in via Bissolati, dove si vendono le cose più diverse, dai gioielli “fatti in casa” dalla stessa Irene, ai quadri giunti alla coppia come dono di nozze, dai disegni di artisti di passaggio, come Renzo Vespignani, agli oggetti personali dei proprietari del negozio stesso, successivamente trasformatosi in Galleria d’arte.

Anche Gaspero, sotto la falsa identità di Ottorino Maggiore, condividerà con Irene questa esperienza  dalla quale nascerà,  appena finita la guerra, il 23 novembre del 1946 alle ore 18.00 e grazie ad una piccola eredità paterna di lei, la loro Galleria, L’Obelisco in via Sistina, che inaugura con una mostra di Giorgio Morandi. Prima Galleria romana del dopoguerra, questa diventa in breve un polo di attrazione per gli intellettuali dell’epoca. Sono infatti habitué Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini, Eugenio Scalfari ed Ennio Flaiano, Renato Guttuso e Alberto Savinio. E non solo i due proprietari la utilizzano per promuovere l’arte italiana che non aveva trovato spazio durante il ventennio fascista, ma anche per portare in Italia artisti ancora sconosciuti come Rauschenberg e Calder.
Ogni anno la coppia trascorre lunghi periodi all’estero impegnata nella compravendita di quegli artisti che loro promuovono come esempi dell’arte italiana e alla ricerca di quelli, internazionali, da far conoscere al pubblico romano. Nel 1947 pubblica in francese il primo dei suoi due libri su Toulouse Lautrec, Images de Lautrec, in occasione della mostra promossa da L’Obelisco e, anche se continua a scrivere su diversi giornali, primo fra tutti “Bellezza” con cui collaborerà sino agli ultimi anni della sua vita, sono questi di fine quaranta gli anni che Irene dedica soprattutto alla Galleria.

La crescita di attenzione intorno alla loro “creatura”, i frequenti viaggi all’estero, i molteplici contatti con personaggi influenti di tutto il mondo e di tutte le aree artistiche, sono strumenti che consentono alla coppia di porsi come ambasciatori della nuova Italia rinata dopo le macerie della guerra, come mediatori culturali tra gli stimoli provenienti dal resto del mondo e il grande fermento scoppiato in patria con la fine della belligeranza.

Esce nel 1952 il secondo suo libro dedicato a Lautrec e comincia la collaborazione come Rome editor per “Harper Bazaar”, ruolo che ricoprirà fino al 1969. In tal modo l’America riconosce in Irene la giornalista più internazionale del nostro paese e solo pochi anni dopo, nel 1955, anche l’Italia le riconoscerà il merito di aver esportato per prima con grande intuito e sapienza, forse addirittura inventato, il made in Italy nel mondo, attribuendole l’onorificenza di Cavaliere ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
In questa fine anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta Irene rimane al massimo della sua attività lavorativa: è tra le giornaliste più pagate e continua a pubblicare libri anche utilizzando i vari pseudonimi con cui scrive per moltissime testate, aiuta Gaspero nella Galleria, scegliendo una linea che, rifiutando le proposte Pop giunte dagli Stati Uniti, sposa e promuove con grande slancio l’arte Op.
La sua attività non conosce soste, ma la sua vita quotidiana è fatta di alti e bassi, di giornate serene, ma anche di buio e desolazione. Il rapporto con il marito resta sempre denso di affetto, complicità, rispetto e reciproca stima. La sua esistenza si divide tra il personaggio creato per il pubblico, eccentrico, camaleontico, sofisticato, a volte snob, e le debolezze, le fragilità dell’essere umano.

Nel 1968 cominciano a manifestarsi i segni della malattia che la porterà alla fine. Subisce diverse operazioni, ma non smette di scrivere e viaggiare. Nel maggio del 1969, nonostante la debolezza che la porta a trascorrere a letto molto del suo tempo, decide di partire con Gaspero per quello che sarà l’ultimo suo viaggio: la loro Galleria ha prestato a Strasburgo per la mostra su Diaghilev i Feux d’artifice di Giacomo Balla e Irene ci tiene a non mancare.
Ma al ritorno le forze le verranno meno e i coniugi decidono di fermarsi nell’amata casa di Sasso di Bordighera.
Lì Irene morirà dopo qualche giorno di agonia il 29 maggio, finendo la sua breve errabonda vita nel solo luogo che sentiva come la sua vera casa.


Mostra a cura di Claudia Palma
Collaborazione scientifica:
Rosalba Cilione e Simona Pandolfi
Allestimento tecnico:
Enzo Riggio e Veraldo Urbinati
Organizzazione e promozione evento:
Associazione ARtCHIVIO
In collaborazione con:
Galleria Nazionale d'Arte Moderna
e Associazione Irene Brin di Sasso di Bordighera

© Toni Garbasso - 2014